Anche il “non fare” fa. Le 200.000 dosi di vaccino AstraZeneca sospese non sono a costo zero.
Il Patto Trasversale per la Scienza e l’Associazione Biotecnologi Italiani criticano la scelta di sospendere la somministrazione del vaccino AstraZeneca in assenza di chiare evidenze scientifiche. Serve più trasparenza nelle motivazioni di scelte così drastiche che impattano sulla fiducia delle persone nei vaccini e sul successo della più grande campagna di vaccinazione di massa della nostra storia recente.
Siamo in mezzo ad una strada e un TIR che ci sta venendo contro rapidamente. Stiamo per spostarci, ma notiamo in lontananza un piccolo movimento e di colpo ci fermiamo “per precauzione”. L’esito sappiamo già qual è. Lo immaginiamo benissimo. Ecco, oggi ci troviamo nella stessa situazione. La sospensione delle somministrazioni del vaccino di AstraZeneca, con la terza ondata epidemica in pieno svolgimento, è equivalente a restare in mezzo alla strada mentre un TIR ci viene contro, può causare molti più danni di quelli che si cercano di evitare con la sospensione.
Spesso si pensa che “nel dubbio” sia meglio fermare tutto, e che questa sia sempre la scelta più sicura. Qual è però oggi il vero rischio?
Con 300-500 morti per COVID-19 al giorno, senza contare il sovraccarico dei ricoveri ospedalieri e delle terapie intensive, il vero rischio è proprio il fermarsi, soprattutto senza un più che valido motivo e, nel farlo, incrinare la fiducia consolidata in questi primi mesi di vaccinazione, proprio nel momento in cui si sta estendendo a tutta la popolazione.
La realtà è che ogni giorno in Italia per COVID muore un numero di persone equivalente a 4 aerei passeggeri. Quattro aerei pieni di Matteo, Antonio, Maria, Rosa, Emanuela, Franco… che, non vaccinandosi oggi, risultano non protetti dal virus e che, se colpiti, non riusciranno a superarlo. Per non parlare di tutte le altre persone colpite da forme più o meno gravi che, pur guarendo, soffriranno di strascichi importanti per molti mesi.
Sia chiaro: è fondamentale la vigilanza, verificare ogni segno che evidenzi anomalie (contaminazioni di lotti, eventi avversi non rilevati durante le fasi sperimentali, ecc.), ma se le evidenze statistiche – come in questo caso – indicano che si è ampiamente all’interno dei numeri attesi (siano questi gli effetti avversi o i decessi per patologie anche rare), sospendere la profilassi vaccinale non ha l’effetto di aumentare la sicurezza, bensì, al contrario, di aumentare il rischio collettivo che ci assumiamo.
Prendiamo, ad esempio, la rara trombosi del seno venoso cerebrale alla base della decisione tedesca di sospendere la vaccinazione. La decisione è stata presa dopo che in Germania si erano registrati 7 eventi (6 in donne). Sulla base di quanto è stato reso fin qui noto, questi 7 (sette) eventi si sono verificati dopo la somministrazione di 1.700.000 dosi di vaccino, su un arco temporale di due mesi. Questo equivale a poco meno di 25 eventi per milione di dosi per anno. Questo numero è del tutto in linea con quanto osservato nella popolazione generale, in particolare femminile, sulla base dei dati disponibili nella letteratura scientifica[1]. Analogamente, anche in Inghilterra, la nazione col maggior numero di vaccinati con il vaccino AstraZeneca, circa 11 milioni, non si è osservato un eccesso statistico di eventi tromboembolici cerebrali. Alla luce dei dati disponibili quindi non c’è alcuna ragione scientifica a supporto dell’adozione di un mal interpretato “Principio di Precauzione” (che parte sempre mettendo sul piatto della bilancia rischi e benefici), come peraltro ha ben sottolineato l’Agenzia Europea per il Farmaco (EMA) in tutti questi giorni. Per contro, l’interruzione della somministrazione crea situazioni di rischio ancor più elevato (come già avvenuto ad esempio rinviando l’uso delle mascherine nelle RSA per paure altrettanto infondate).
Questa decisione di sospendere la somministrazione del vaccino AstraZeneca inoltre, soprattutto se amplificata da una comunicazione allarmistica, confusa e contraddittoria, e accompagnata da scelte ambivalenti fatte inseguendo il “sentimento popolare”, non fa altro che aumentare l’esitazione vaccinale e la sfiducia nei confronti dei vaccini e della scienza in generale.
Questo perché, purtroppo, la nostra mente, in questi casi non ci aiuta a valutare correttamente i rischi. Infatti:
- ci porta ad avere paura dei rischi sbagliati (il vaccino invece del virus; l’aereo invece dell’automobile; lo screening invece del tumore);
- ci fa ingenuamente pensare che “stare fermi e non fare niente” sia “più sicuro” che fare qualcosa di attivo (anche se siamo di fatto in mezzo ad una strada e ci stanno per investire);
- ci fa pensare che la prevenzione sia solo un fastidio (come per le cinture di sicurezza, che però in caso di incidente ci possono salvare letteralmente la vita);
- costruisce relazioni di causa effetto inesistenti (“Post Hoc Propter Hoc”: ieri un gatto nero mi ha attraversato la strada, ecco perché oggi ho preso la multa);
- ci fa focalizzare su eventi negativi, anche se rari, perché ci colpiscono emotivamente, a maggior ragione se vengono amplificati dalle reti sociali in cui siamo immersi;
- ci porta a sentirci meno turbati da un evento, seppur grave, che si ripete da tempo (i 500 morti al giorno di oggi per COVID, a marzo 2020 ci angosciavano, mentre ora ci sembrano solo fredda statistica), rispetto a qualcosa di nuovo con cui non abbiamo ancora familiarità come il vaccino (che anche se ha effetti avversi gravi limitatissimi, nell’ordine dello zero virgola zero, ci crea più “allarme” di 500 morti al giorno solo perché è qualcosa di nuovo).
E’ per questo che i decisori politici, scientifici e anche logistici devono avere ben presente questi “rischi della mente”, perché possono diventare “rischi per la vita”, specie in una situazione emergenziale collettiva. Davanti a dati evidenti sulla sicurezza vaccinale che emergono dalle milioni di dosi somministrate, e ribaditi ancora oggi da EMA, il “non fare” solo per assecondare paure infondate è molto pericoloso.
Da questa emergenza usciremo anche e soprattutto quando saremo capaci di elaborare una comunicazione chiara, forte e coerente basata su dati oggettivi e trasparenti. L’ansia collettiva è parte del problema non della soluzione, non va né coltivata né cavalcata.
Ora abbiamo due urgenze da affrontare subito: recuperare il prima possibile le 200.000 vaccinazioni mancate di questi giorni; ma soprattutto recuperare la fiducia delle persone messa in crisi da una decisione e una comunicazione autolesionista davvero difficile da capire.
Stare fermi, in una pandemia, uccide. Torniamo a correre, per tornare a vivere.
[1] La decisione è stata presa sulla spinta dei 7 (sette) eventi si sono verificati negli ultimi 2 mesi in Germania su 1.700.000 dosi di vaccino somministrate. Rapportato su base annuale, il dato equivale a poco meno di 25 eventi per milione di dosi per anno.
Tutta la letteratura recente, a partire da uno studio realizzato in Olanda e uno in Australia, indica l’incidenza di questa malattia fra 13.2 eventi per milione per anno (CI 95% 10.6-16.1, Olanda) e 15.7 (CI 95% 12.9-19.0, Australia). È facile verificare come, su numeri così piccoli e popolazioni così ampie, le differenze osservate con quanto visto in Germania non siano significative (per i tecnici, lo Z-score per le differenze fra le proporzioni è pari a -1.4056, p pari a 0.15854). Oltretutto, per quanto riguarda lo studio olandese, si è osservato che per le donne fra 31 e 50 anni di età, l’incidenza è pari a 27.8 per milione per anno (con un intervallo di confidenza del 95% tra 19.8–38.2), del tutto in linea con i numeri osservati in Germania e con la distribuzione fra i sessi nota.
The Incidence of Cerebral Venous Thrombosis | Stroke. 2012; 43: 3375–3377
Cerebral Venous Sinus Thrombosis Incidence Is Higher Than Previously Thought: A Retrospective Population-Based Study | Stroke. 2016; 47(9): 2180-2
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